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Legge Delega sul Lavoro, l’intervento dell’on. Anna Giacobbe

L’on. Anna Giacobbe ha effettuato un intervento in merito alla Legge delega sul Lavoro, nell’ambito della commissione parlamentare competente. La deputata savonese ha dichiarato:

«Propongo qualche osservazione di metodo, visto che anche’ esso è stato oggetto di discussione nella precedente riunione della commissione, cioè che cosa debba proporsi la Commissione esprimendo il parere sugli schemi di decreti Sappiamo tutti che sulla disciplina dei licenziamenti per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato (perché di questo si tratta, e non della definizione di una nuova tipologia contrattuale) c’è stato nei mesi scorsi un confronto difficile: il Governo aveva chiesto una delega molto ampia e inserito nel disegno di legge delega novità positive, ma anche elementi contraddittori.

Si è realizzata una dialettica tra Governo e Parlamento, anzi tra Governo e Commissione, che ci ha consentito di portare in aula un testo condiviso, che, come maggioranza, abbiamo difeso, al di là delle opinioni di partenza. Il parere sugli schemi di decreti delegati non ha, e non deve avere, lo scopo di riaprire la discussione sui contenuti della Legge, ma verificare la rispondenza dei decreti attuativi alla lettera e allo spirito della Legge Delega, quella lettera e quello spirito che abbiamo condiviso come maggioranza. Non avrebbe alcun senso utilizzare questo passaggio per ingaggiare una nuova battaglia su punti che ormai sono definiti, strattonando il Governo da una parte o dall’altra.

Compito della Commissione, in questo frangente, non è dire “mi piace” / “non mi piace”; non è richiesto che la Commissione descriva la “grande bellezza” della Legge delega o dei decreti, come qualche commissario ha suggerito. Penso che davvero l’obiettivo di tutti, ed il risultato atteso, possa essere quello di spostare quote significative di lavoro subordinato da contratti meno tutelati e più precari, al contratto a tempo indeterminato, pur depotenziandone alcune tutele; anche se abbiamo di fronte ancora un quadro incompleto, sia dell’insieme dei provvedimenti attuativi della Delega, sia del complesso di strumenti di politica economica per rimettere in moto la crescita e creare opportunità di lavoro.

Io penso che l’efficacia della nuova normativa rispetto all’obiettivo di favorire il ricorso a contratti a tempo indeterminato sia condizionata anche dal clima di condivisione che si creerà su quell’obiettivo e sul fatto che queste norme, combinate con gli incentivi economici previsti della Legge di Stabilità, portino risultati tangibili: in questo penso vada compreso anche lo sforzo di condividere con i sindacati il fatto che si possono aprire spazi di negoziato e di accordo con le impresse e le loro associazioni.

Non sono d’accordo con chi considera i testi usciti dal Consiglio dei Ministri del 24 dicembre scorso come “inemendabili”. C’è uno spazio di intervento per evitare che punti di arrivo consolidati siano resi meno chiari dai decreti delegati; o per evitare che, anziché una semplificazione, si metta in campo un altro ginepraio interpretativo; e per indicare qualche correzione, finalizzata proprio a rafforzare gli strumenti utili al perseguimento dell’obiettivo principale.

Proprio perché parto dal presupposto che non si vogliano incentivare i licenziamenti, ma le assunzioni stabili al posto di quelle precarie o di nessuna assunzione, se nello schema di decreto c’è qualcosa che possa essere usato male, fuori o contro le buone intenzioni del Governo o del Parlamento, va segnalato affinché sia corretto.

Avere norme che scoraggino o non consentano comportamenti opportunistici delle imprese è uno strumento per contrastare la concorrenza sleale, e spingere la competizione su livelli “alti”, e anche “puliti”, cosa che al nostro Paese farebbe un gran bene in generale (tutte le imprese sono potenzialmente leali, sino a prova contraria, ma sono le loro stesse associazioni che hanno segnalato, anche qui, qualche deviazione: ricordo ad esempio, di recente, Centrali Cooperative e Ance).

Ultima questione di metodo: è giusto fare una scelta di pochi punti prioritari sui quali concentrare le nostre osservazioni; ma l’individuazione di quelle priorità è bene si faccia dopo avere messo in evidenza l’insieme delle possibili criticità; la sintesi la proporrà il relatore, tenendo conto di tutto e sottoponendo alla Commissione una proposta. Quindi il mio è volutamente un (incompleto) elenco della spesa, a disposizione del lavoro di sintesi della Commissione come collettivo, e del relatore.

Le questioni che vorrei segnalare sono:
1) Sino ad ora, e soprattutto siano al 2012, la deterrenza rispetto all’uso illegittimo del licenziamento era affidata alla tutela forte della reintegrazione; oggi, per le nuove assunzioni, facciamo un’altra scelta, ma il tema della necessità di una deterrenza non scompare e deve essere affidato ad altro strumento.

Non si tratta di rimettere in discussione la nuova ripartizione tra licenziamenti illegittimi per cui è previsto la reintegrazione e quelli per cui è previsto l’indennizzo monetario (salvo una precisazione sui disciplinari); l’adeguatezza dell’indennizzo è però un argomento non improprio.
Inoltre, in questa fase, la presenza di forti incentivi economici per le assunzioni ci deve spingere a curare un altro particolare, indicando questa possibile criticità al Governo affinché adotti le contromisure necessarie: e cioè che ci sia una convenienza opportunistica nel rapporto tra il “costo” del licenziamento ed il vantaggio dell’ incentivo (le norma attuative della legge di stabilità su questo punto non sono ancora state emanate, mi pare, e quella può essere anche la sede in cui questo tema viene affrontato, indicando i casi di decadenza o revoca degli incentivi). Segnalo, tra le cose cui prestare attenzione, il rischio di “avvicendamento generazione”, con l’espulsione di lavoratori anziani, in presenza di un sistema previdenziale che non li “riceve”. Ricordo che quella per età è riconosciuta come discriminazione, sia che riguardi i giovani, sia che riguardi gli anziani. L’obiettivo è trasformare i contratti precari dei giovani in contratti stabili e più tutelati, non incentivare l’assunzione di giovani al posto di anziani, cui non si da uno sbocco decente fuori dal lavoro. Non mi conforta il fatto che nella relazione tecnica, nell’“Analisi dell’impatto delle regolamentazione”, oltre a indicare la “riduzione dei costi del licenziamenti come strumento per attenuare il dualismo del mercato del lavoro superare progressivamente la differenza tra lavoratori garantiti e lavoratori meno garantiti (analisi un po’ “superata” delle dinamiche del mercato del lavoro), ci sia scritto che l’intervento del decreto è “reso necessario per favorire il ricambio generazionale nell’ambito del mercato del lavoro”: dipende da cosa si intende per “ricambio”

2) l’inserimento nel decreto dei licenziamenti collettivi, non previsti in tutta la discussione che ha accompagnato l’approvazione della Legge Delega, che ha fatto riferimento, come tutti ricordano, all’art. 18 della legge 300, come modificato nel 2012, e mai alla legge 223, che regola, appunto i licenziamenti collettivi. Io non mi appello ad argomenti quali l’eccesso di delega o il fatto che l’uso del plurale “licenziamenti” non significhi “collettivi”, ma ad un argomento da “buon senso”: una normativa che attribuisce ai lavoratori di un gruppo tutele diverse a seconda del momento dell’assunzione, che configura quindi un bagaglio individuale di tutele non legato ad altro che al momento dell’assunzione, non più essere applicata in caso di vicende collettive. Lo dice il buon senso e lo dice l’esperienza di chi ha gestito casi concreti e “viventi”. È particolarmente discutibile che si preveda una riduzione di tutele nel caso di non rispetto di una procedura che riguarda la funzione delle organizzazioni collettive di rappresentanza dei lavoratori proprio in presenza di una procedura collettiva; non è problema di ruolo formale delle organizzazioni, ma una sottovalutazione del fatto che in quella procedura non c’è un iter burocratico, ma la sostanza di un esame congiunto (spesso affiancato da un parallelo intervento delle istituzioni locali) delle condizioni per limitare il più possibile le conseguenze sociali dei problemi produttivi o organizzativi o di mercato, dell’impresa. Per di più, non si tratta di impedire alle imprese di licenziare, ma di usare criteri del tutto arbitrari nello scegliere chi; e con l’incentivo ad assumere a tempo indeterminato questo non ha molto a che vedere.

3) i cambi di appalto, che configurano ogni volta “nuove assunzioni” per persone che rimangono nello stesso posto di lavoro, in virtù anche di “clausole sociali”; non per niente si riconosce un calcolo dell’anzianità che comprende i rapporti di lavoro con le imprese che erano in precedenza titolari del rapporto di lavoro

4) i licenziamenti disciplinari: nella legge delega è previsto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro per “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”, mentre il decreto delegato limita la reintegrazione al solo caso in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore; inoltre viene esclusa ogni valutazione circa la proporzione tra la mancanza del lavoratore e la sanzione del licenziamento si metterebbero sullo stesso piano fatti gravi e fatti irrilevanti, escludendo qualsiasi logica di proporzionalità della sanzione. Sarebbe giusto ripristinare un criterio di proporzionalità, e comunque una qualche relazione, tra gravità della mancanza del lavoratore e sanzione. Non so quale correttivo (riferimento a contratti o codici disciplinari, o margini di discrezionalità del giudice) sia il migliore, ma va segnalato il problema, con determinazione. Inoltre il rischio di “sconfinamenti” tra uso del licenziamento disciplinare e possibili atteggiamenti discriminatori mette in luce la rilevanza del tema dell’onere della prova, cui il Presidente ha fatto cenno nella relazione.

5) tra gli obiettivi dichiarati della nuova normativa, c’era anche quello di ridurre le differenze tra i lavoratori delle imprese con più o meno di 15 dipendenti, uno dei “dualismi” veri del nostro mondo del lavoro: prevedere, in alcuni casi, una possibile riduzione dell’indennizzo per i lavoratori delle imprese sino a 15, appare come una contraddizione.

6) in Commissione al Senato è stata proposta l’opportunità di rendere esplicita “l’applicabilità della nuova disciplina anche a tutti i rapporti di lavoro a termine che vengano convertiti in contratti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto”. Se ci sono dubbi, vanno chiariti»

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