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L’intervento: il nuovo silenzio assenso in materia ambientale

SVolta.net ospita, una volta al mese, l’intervento del Prof. Avv. Lorenzo Cuocolo, Professore nell’Università Bocconi, Avvocato amministrativista, titolare Studio Cuocolo (GE-MI), che farà il punto su alcune tematiche di attualità per il mondo dell’impresa.

La legge n. 124/2015 – cd. riforma Madia – come è noto, ha dato mandato al Governo di adottare uno o più decreti legislativi in materia di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione.

Allo stesso tempo, la l. 124/2015 ha dettato alcune norme applicabili fin da subito, ovvero senza dover aspettare l’adozione dei decreti attuativi da parte del Governo. Fra le disposizioni direttamente applicabili vi è, in particolare, l’art. 3, il quale introduce nella legge generale sul procedimento amministrativo (legge n. 241/1990) un nuovo articolo, il 17-bis.

Il nuovo articolo 17-bis prevede l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso nei procedimenti che vedono coinvolte più amministrazioni pubbliche. In altre parole, tale norma prevede che, ogniqualvolta sia richiesto un atto di assenso di una PA in un procedimento di competenza di un’altra pubblica amministrazione, questo deve intervenire entro trenta giorni. Decorso tale termine, l’assenso si intenderà acquisito. La finalità della norma è chiara: eliminare quegli ostacoli burocratico-procedurali che impediscono o ritardano enormemente la realizzazione di qualsiasi operazione. Fin qui, tutti d’accordo.

Il problema è che il terzo comma dell’art. 17-bis prevede espressamente che il meccanismo del silenzio-assenso si applichi anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di atti di assenso in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali e salute. In questi casi, il termine per pronunciarsi è più lungo: novanta giorni, anziché trenta. Decorso tale termine, però, scatta ugualmente il meccanismo del silenzio-assenso.

L’innovazione è stata salutata favorevolmente da alcune categorie, ma criticata aspramente da altre. Il timore maggiore di coloro che criticano la nuova norma è che dall’estensione di una disciplina procedimentale “semplificata”, come quella del silenzio-assenso, ad interessi sensibili come quelli ambientali e paesaggistici derivi un insostenibile sacrificio in termini di corretta ponderazione degli interessi in gioco.

In realtà, a ben vedere, il rischio è minore di quanto potrebbe sembrare ad un primo esame. Infatti, occorre tenere ben distinte due categorie di procedimenti. Da un lato, vi sono i procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi. In questi casi, il meccanismo del silenzio-assenso non scatta perché continua a trovare applicazione l’art. 20 della l. 241/1990, il quale stabilisce che la regola del silenzio-assenso non si applica “agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità”.

L’art. 17-bis, invece, si applica solamente nei casi in cui ad una P.A. sia richiesto un atto di assenso, un concerto o nulla osta comunque denominato nell’ambito di un procedimento di competenza di un’altra P.A. In questi casi, decorso il termine previsto dalla legge, non si forma un provvedimento tacito di assenso; semplicemente, la P.A. competente potrà procedere come se l’atto di assenso fosse stato acquisito.

Per fare un esempio, poniamo il caso che, in un procedimento di competenza comunale, si renda necessario acquisire il parere della Soprintendenza: l’art. 17-bis fa sì che, decorsi novanta giorni senza che la Soprintendenza si sia pronunciata, il parere si consideri acquisito.

Evidentemente, il sacrificio dell’interesse pubblico è minore: la ponderazione degli interessi in gioco, infatti, è garantita dal fatto che il procedimento si concluderà comunque con un provvedimento espresso e motivato dell’Amministrazione competente. Nell’esempio, il procedimento si concluderà con un provvedimento espresso del Comune (e non potrebbe essere altrimenti, dato che il citato art. 20 impedisce che si perfezioni il silenzio-assenso).

Con questi accorgimenti, la nuova normativa risulta compatibile con i principi posti in materia di silenzio-assenso dalla Corte di Giustizia Europea. Quest’ultima, infatti, si limita a richiedere che le amministrazioni preposte alla tutela ambientale concludano il procedimento con un provvedimento espresso, stante l’importanza dell’interesse tutelato, di modo che in esso sia dato conto dell’istruttoria svolta.

Certamente ci troviamo di fronte ad un sistema che perde qualcosa – solo il tempo ci dirà effettivamente quanto – in termini di ponderazione degli interessi in gioco e, di riflesso, di garanzia per la collettività. Ma al di là delle statuizioni di principio resta il fatto che è necessario trovare il modo di evitare che l’inerzia delle amministrazioni possa ritardare l’esecuzione di qualsiasi iniziativa privata o addirittura sostanzialmente bloccarla. E, senza dubbio, le imprese ed i cittadini hanno il diritto di vedere conclusi i procedimenti il più rapidamente possibile (un diritto dei singoli che, date le caratteristiche delle opere di cui stiamo discutendo, si tramuta in un interesse della collettività).

Per concludere questa è, tenuto conto dello stato delle cose, una soluzione – se non ottimale – più che ragionevole. Si deve considerare infatti che le stesse P.A. competenti nelle materie previste dall’art. 17-bis, essendo coinvolte in un numero enorme di procedimenti, non hanno la possibilità materiale di svolgere il proprio ruolo in tutte in breve tempo. Per effetto dell’introduzione del nuovo art. 17-bis, queste Amministrazioni dovranno ragionevolmente concentrare la propria attività sui procedimenti di maggiore impatto sotto il profilo ambientale, paesaggistico, ecc. Si tratta, in altre parole, di un compromesso ragionevole che consente da un lato di garantire un’adeguata ponderazione degli interessi coinvolti e, dall’altro lato, di non bloccare l’attività amministrativa.

Del resto, la soluzione ideale al problema della burocrazia comporterebbe una colossale rivoluzione nell’organizzazione della pubblica amministrazione e non una semplice (sic!) “riorganizzazione”. Ma per fare ciò servirebbe una bacchetta magica e si sa che fine fanno gli apprendisti stregoni.

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